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Siamo una rete in espansione di attivisti, difensori della terra, organizzatori comunitari ed economisti che si uniscono per reclamare il potere del sistema finanziario.

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Il manifesto di Basilea

IL FORUM DEI POPOLI PER LA GIUSTIZIA CLIMATICA
E LA REGOLAMENTAZIONE FINANZIARIA

Nel giugno 2023, difensori dell’ambiente, attivisti per il clima ed esperti di finanza si sono riuniti a Basilea per discutere e sviluppare piani collettivi per mettere sotto controllo la finanza fossile, sfidando un'importante istituzione finanziaria - la Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI). Uno dei risultati dell'incontro è stato il Manifesto di Basilea, in cui i diversi movimenti provenienti da varie parti del mondo esprimono richieste congiunte che prevedono il cambiamento sistemico del nostro sistema finanziario insieme alla giustizia climatica.

Bollettino 

Dal 23 al 25 giugno 2023, gli alti funzionari di oltre 60 banche centrali di tutto il mondo si sono riuniti a Basilea, in Svizzera, per la riunione annuale della Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI), storicamente la prima enclave del capitalismo finanziario internazionale. In questa "banca delle banche centrali", i rappresentanti di diversi Paesi hanno discusso, come ogni anno, tra comitati ristretti, a porte chiuse, senza ordine del giorno né verbali pubblici, le linee guida e le raccomandazioni che regolano il sistema finanziario globale e costituiscono le basi per la governance monetaria in tutto il pianeta - un pianeta che, nonostante tutto il fondamentalismo a breve termine della crescita indefinita e il mantra della stabilità finanziaria, oggi sta vivendo ondate di crisi, di aumento delle temperature, di espropriazione e di violenza senza precedenti. 

Contemporaneamente, un'ampia coalizione di movimenti sociali e ambientali ha lanciato il Forum dei Popoli per la Giustizia Climatica e la Regolamentazione Finanziaria con una richiesta condivisa: porre fine al finanziamento dell'estrattivismo dei combustibili fossili. Delegati provenienti da oltre 30 Paesi di diverse culture politiche, dal Nord e dal Sud del mondo, con età, conoscenze ed esperienze di lotta diverse, si sono riuniti in questo spazio per discutere di problemi comuni, delle cause profonde di questi e di possibili strategie di azione congiunta di fronte alla catastrofe climatica, all'espropriazione e alla precarizzazione dei popoli e alla distruzione dei loro ecosistemi e mezzi di sussistenza. Abbiamo denunciato il carattere antidemocratico e coloniale delle istituzioni finanziarie che strutturano l'attuale capitalismo transnazionale e sostengono l'accumulazione e la concentrazione del capitale attraverso la distruzione delle comunità, degli ecosistemi e del pianeta. 

In particolare, abbiamo evidenziato il ruolo fondamentale svolto dalla BRI nella perpetuazione sistematica di estrattivismo energetico e nell'intensificazione del cambiamento climatico. La BRI ha operato a lungo in silenzio, lontano dal controllo pubblico e senza rispondere del proprio operato, negando la propria corresponsabilità nella devastazione del pianeta e sostenendo che la stabilità finanziaria e la politica monetaria sono questioni tecniche, neutre, che non influenzano direttamente il cambiamento climatico e la violazione dei diritti sociali e ambientali. Certo, i recenti dibattiti hanno incluso "tentativi" di mettere il clima e il pianeta al centro delle loro decisioni istituzionali. Ma finora questo si è tradotto solo in deboli misure di divulgazione, nell'adesione volontaria a forum e in espedienti fuorvianti come i green investment bond, che continuano a ridurre le nostre vite a dati su profitti, rischi e incentivi economici per il grande capitale, intensificando la mercificazione della natura e rafforzando gli aggiustamenti strutturali che aumentano le disuguaglianze e la sottomissione dei popoli. I suoi standard di trasparenza, regolamentazione e supervisione bancaria sono serviti solo a garantire la stabilità del grande capitale e degli interessi aziendali, non dei nostri mondi e delle nostre società. Il Forum dei Popoli ha dimostrato che la distruzione e lo sfruttamento capitalistico non sono né inevitabili né una questione puramente tecnica, ma piuttosto una decisione politica. Ma né questa né altre istituzioni della governance finanziaria internazionale stanno passando inosservate. Se vogliono continuare a finanziare la catastrofe in corso, dovranno affrontare la nostra resistenza.

Il Forum ha iniziato a tessere una piattaforma translocale per organizzare diverse azioni contro il sistema finanziario, muovendosi per l'autodeterminazione economica dei popoli e la democratizzazione e decolonizzazione delle nostre società. Come primo passo per il recupero del credito come bene comune, intendiamo porre fine in modo definitivo e sistematico al finanziamento dell'estrattivismo dei combustibili fossili. L'industria dei combustibili fossili è particolarmente rilevante per il ruolo che occupa non solo nei cambiamenti climatici, ma soprattutto nella riproduzione e nell'espansione dell'attuale sistema economico distruttivo. Fermare i flussi finanziari dell'industria fossile è oggi tanto urgente quanto necessario. Ma questo non deve far credere che cambiare le risorse, le aree e le tecnologie estrattive sia sinonimo di cambiare il modello. L'estrattivismo verde è sempre estrattivismo. Per questo noi del Forum ci battiamo anche per sostenere le alternative di sostentamento locali, con la convinzione che la transizione debba essere non solo ordinata, ma soprattutto giusta, plurale, per e dalle comunità. La vera transizione sarà quella economica ed ecologica dei nostri stessi modi di vivere, costruita dal basso, con la forza dei nostri movimenti. 

© Daniel Buergin
PRINCIPI

  1. Un chiaro rifiuto dell'economia e dell'ecologia neocoloniale, del capitalismo estrattivista e delle istituzioni e politiche finanziarie che hanno a lungo sfruttato e controllato le nostre società e che oggi alimentano la catastrofe climatica, sociale e ambientale.
  2. Una lotta plurale per la vita, per un pianeta abitabile, per i diritti della natura, per l'autodeterminazione dei popoli, per la difesa e la protezione dei sistemi di conoscenza dei popoli nativi, indigeni e tribali e per il rispetto dei diritti fondamentali di accesso all'acqua, alla terra e al territorio. E il riconoscimento comune che lottare per l'ambiente implica lottare per le persone e viceversa: lottare per le persone significa anche difendere l'ambiente. Senza ecosistemi non ci sono comunità, senza comunità non ci saranno ecosistemi. 
  3. Un'alleanza internazionale, intersezionale e intergenerazionale di leader comunitari e indigeni della resistenza, attivisti per la giustizia sociale e ambientale in tutto il mondo, lavoratori organizzati, leader politici, gruppi della diaspora antirazzista e reti di solidarietà transoceaniche, associazioni e organizzazioni della società civile che lavorano per fare pressione sulle istituzioni finanziarie.
  4. Un'attenzione strategica nel denunciare e mettere pressione sulla struttura politica che sostiene questo sistema di sfruttamento e impunità, costituito da banche private e centrali, agenzie di rating del rischio, società di gestione patrimoniale, compagnie di assicurazioni e istituzioni di governance multilaterale come la Banca dei Regolamenti Internazionali, il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale e le cosiddette banche "di sviluppo". E una diagnosi condivisa della corresponsabilità che questi attori hanno nella creazione di pratiche creditizie e tassi di interesse discriminatori, strutturalmente concepiti per alimentare la crescita costante, l'accumulo e la concentrazione di capitale, l'estrattivismo energetico e disuguaglianze sempre più insostenibili.
  5. Una molteplicità di tattiche di azione, tra cui, ma non solo, la disobbedienza civile, le azioni dirette, il blocco e il sabotaggio delle infrastrutture, l'advocacy, la produzione e la diffusione di conoscenze, la sensibilizzazione dell'opinione pubblica, le campagne di disinvestimento, la pressione dei media, la progettazione e la promozione di politiche pubbliche e meccanismi di regolamentazione.
  6. Coordinamento orizzontale, decentrato e autonomo
  7. Un appello ai popoli, ai sindacati, alle comunità indigene, alle comunità colpite di contadini e pescatori, ai leader politici, alle organizzazioni e ai movimenti sociali affinché si uniscano per affrontare la realtà passata e presente dell'estrattivismo coloniale, reclamando il credito per il bene comune, costruendo alternative locali di sostentamento rispetto agli Stati al servizio degli interessi corporativi e muovendosi verso una trasformazione democratica, ovvero sostituirsi definitivamente alle istituzioni che operano di fatto come fulcro del capitalismo transnazionale. 

© Daniel Buergin
Manifesto (sintesi)

1) Il Forum dei Popoli

Noi, il Forum dei Popoli, dalle nostre comunità in resistenza, dalle nostre diaspore e reti di solidarietà internazionale, dai nostri movimenti di base per la giustizia sociale e ambientale e dalle nostre organizzazioni della società civile focalizzate sulla critica del mondo finanziario, facciamo questo manifesto in nome della vita, della Terra, dell'autodeterminazione dei popoli, dell'autonomia, della giustizia e della costruzione dei beni comuni attraverso l'affermazione della diversità.

Noi, il Forum dei Popoli, dichiariamo oggi più che mai che siamo a un punto di non ritorno: la catastrofe che è stata ed è il capitalismo coloniale sta oggi intensificando la sua violenza, minacciando l'esistenza dei nostri diversi modi di vita e la possibilità stessa di vivere insieme su questo pianeta. 

2) I problemi e le loro cause

Questo sistema economico e finanziario perverso è il motore della catastrofe planetaria. Contro la voce dei nostri movimenti, contro i saperi ancestrali e le conoscenze scientifiche, contro i sentimenti e le convinzioni dei nostri popoli, le imprese transnazionali del capitalismo estrattivista continuano ad accumulare e concentrare capitali, provocando allo stesso tempo caos climatico, distruggendo gli ecosistemi, appropriandosi dei territori ed espropriando le comunità nella più totale impunità. I loro meccanismi operativi dipendono dall'oligopolio privato che controlla il credito, dai finanziamenti delle banche e delle compagnie di assicurazioni, dalla complicità dei governi nazionali e delle istituzioni internazionali e da una concezione del rischio che tiene conto solo del profitto privato a breve termine e non dei rischi per la vita delle persone e della Terra. 

3) Le nostre affermazioni

- Chiediamo il controllo della finanza e del credito da parte e per il popolo. Lottiamo per riscrivere le regole e rifondare le istituzioni finanziarie del capitalismo transnazionale partendo da una prospettiva democratica e decoloniale, al servizio della volontà delle comunità locali e degli ecosistemi, e non delle linee guida aziendali dell'accumulazione del capitale e della sua logica estrattivista. 

- Lottiamo per un pianeta abitabile e comune. Per l'autodeterminazione dei popoli sui loro corpi, terre e territori. E contro tutte le istituzioni, le politiche e le imprese che minacciano la Terra e le comunità che la abitano.

- Ci ribelliamo ai sistemi di intimidazione e corruzione, per rifondare società plurali, deliberative, autonome e autenticamente democratiche, in cui le decisioni economiche siano prese a favore dei popoli, degli ecosistemi e del pianeta.

- Ci muoviamo verso un mondo post-estrattivista in cui si affronta il caos climatico e si progredisce verso transizioni energetiche, ecologiche ed economiche giuste e comunitarie.

4) Le nostre richieste strategiche a breve e medio termine

Facciamo appello alle forze di resistenza e alle persone e organizzazioni impegnate a tessere alleanze, a confrontarsi con le istituzioni che governano il capitalismo transnazionale e a lottare per una trasformazione radicale dei nostri sistemi economici e finanziari. Come primi passi in questa direzione: 

i) Chiediamo alle istituzioni finanziarie e ai loro organismi di governance multilaterale, come la Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI), il Comitato di Basilea per la Vigilanza Bancaria (BCBS), il Consiglio per la Stabilità Finanziaria (FSB) del G7 e del G20: riparazioni, la garanzia del Diritto di Dire No, il Consenso Libero, Prioritario e Informato e la consultazione preventiva vincolante per il finanziamento di tutti i progetti estrattivi. 

ii) Chiediamo l'applicazione della regola cautelare dell’"uno per uno" per gli investimenti e i prestiti dell'industria fossile. Vale a dire, un quadro normativo che obblighi le banche a fornire garanzie collaterali al 100% su tutti i futuri prestiti a società e progetti di combustibili fossili, visto il rischio inaccettabile che comportano. 

iii) Chiediamo agli Stati nazionali e agli organismi multilaterali di governance internazionale, come le Nazioni Unite, di sostenere, progettare e implementare regolamenti in modo che i diritti umani e ambientali prevalgano sul profitto pubblico o privato. In particolare, impedire qualsiasi sostegno finanziario ad attività che mettano a repentaglio i diritti delle comunità o degli ecosistemi sensibili. 

iv) Chiediamo misure concrete per la decolonizzazione delle istituzioni finanziarie internazionali, affinché riflettano un carattere plurale e democratico nella loro composizione e nei processi decisionali. In particolare, promuoviamo un'equa rappresentanza dei Paesi del Sud globale in istituzioni come la BRI o il FMI e i suoi comitati annessi. 

v) Chiediamo la cancellazione del debito neocoloniale illegittimo che è stato imposto ai Paesi del Sud globale.

Per muoversi congiuntamente verso la realizzazione di queste richieste:

- Chiediamo azioni e mobilitazioni in tutto il mondo per fare pressione sulle banche centrali e sulle agenzie di rating affinché tengano conto del rischio climatico e sociale a lungo termine nel fissare i tassi di interesse sui prestiti e sul credito.

- Chiediamo di rafforzare le campagne internazionali e intersezionali esistenti che combattono l'impunità delle imprese, il debito illegittimo, l'espropriazione della terra e del territorio, la povertà energetica e il finanziamento dei progetti estrattivisti.

- Invitiamo tutti a rafforzare i processi di resistenza e le alternative locali, autonome e comunitarie che lottano contro il capitalismo verde, per la riappropriazione dei mezzi di produzione e di sussistenza e per la creazione di economie autosostenibili, basate sul principio della sovranità alimentare. Così come per il riconoscimento e il rispetto dell'esperienza dei popoli indigeni e il rafforzamento di modi di vita radicati nella cura delle culture e della natura.  

- Denunciamo la persecuzione sistematica e gli assassinii di attivisti sociali e difensori della natura in tutto il mondo. Chiediamo la creazione di meccanismi di protezione e di reti di sostegno e solidarietà per garantire la loro sicurezza.

Manifesto 

I. Cosa siamo

Veniamo da luoghi diversi e lontani. Le nostre storie sono raccontate in tempi e lingue diverse. Le nostre terre ospitano mondi, sogni e conoscenze singolari, plurali e fondamentalmente irriducibili. Le nostre acque scorrono ognuna a modo suo. Siamo i fiumi che scendono dalle Montagne Rocciose alla Terra del Fuoco. Siamo le barriere coralline che popolano il Passaggio dell'Isola Verde e il resto dell'arcipelago filippino. Siamo il Lago Vittoria e i delta del Reno. Siamo la Foresta Nera, la Huasteca Potosina e la foresta di Hasdeo Arand. Siamo la Costa Selvaggia di Pondoland, la costa di Casamance e le baie di Chimbote. Siamo le persone, gli uccelli e le nuvole che fanno pulsare l'Amazzonia e vivono al largo del Mediterraneo. Il nostro habitat collettivo è costituito dal riconoscimento e dal rispetto dei luoghi in cui nascono e crescono le nostre differenze. 

Condividiamo poche cose. Ma anche se sono poche, non sono meno decisive. Condividiamo una vita e un pianeta, e la convinzione che prendersi cura dell'uno è difendere l'altro. Condividiamo legami di solidarietà, cooperazione e aiuto reciproco, indipendentemente dalle distanze e dai confini. Condividiamo esperienze e speranze in un modo di vivere collettivo, che non nasconda e annichilisca le nostre singolarità, ma che le valorizzi, le preservi e le arricchisca. 

 Tuttavia, condividiamo anche la stessa rabbia e lo stesso dolore. Il sentimento per la terra quando i tentacoli del capitale sfruttano, espropriano, corrompono, distruggono e uccidono. Condividiamo storie coloniali in cui il profitto di pochi dipende dalla miseria di molti altri, in cui l'espansione di uno specifico modo di esistenza si perpetua attraverso la conquista, la sottomissione e l'estinzione degli altri. Condividiamo la giusta indignazione per ogni paesaggio desolato, ogni famiglia sfollata, ogni fiume inquinato, ogni lingua e specie estinta, ogni lavoratore oppresso, ogni attivista perseguitato. Condividiamo il dolore per tutti i nostri morti e scomparsi. 

 Ma per i nostri morti, i nostri scomparsi, i nostri territori e paesaggi devastati, non ci sarà alcun minuto di silenzio perché condividiamo soprattutto la furia delle nostre lotte e il clamore della nostra resistenza. Dalla nazione Wet'suwet'en, dal popolo Nahua o Uitoto e dai comitati Amadiba, alcuni di noi hanno lottato per secoli contro l'estrattivismo coloniale, senza mai rinunciare alle proprie terre. Altri, dai fiordi scandinavi alle Alpi, da pochi decenni o da pochi anni. 

 Abbiamo visioni diverse. Usiamo tattiche e strategie diverse, non sempre in accordo. C'è chi scende in piazza per marciare e incatenarsi per protesta a un municipio. C'è chi organizza un'assemblea, uno sciopero, chiude un porto e difende il territorio con il proprio corpo. C'è chi occupa le banche per denunciare crimini e complicità, e chi parla per convincere gli azionisti. Alcuni condividono foto e messaggi di visibilità e solidarietà sulle loro reti. Altri ricercano nelle banche dati e diffondono rapporti. Altri ancora realizzano uno striscione, una canzone, un manifesto o una performance di protesta. C'è anche chi discute e progetta leggi e regolamenti, chi sabota e smantella infrastrutture, chi prepara workshop, recupera terreni, organizza cooperative, va in tribunale o apre le proprie case per ricevere un esule. 

Non siamo d'accordo su tutto. Ma la parola va e viene, e nella nostra pluralità sta la nostra forza. Ci siamo incontrati per difendere, ciascuno a suo modo, la vita, l'acqua, l'aria, la terra, le pratiche che fanno sussistere i beni comuni e aprono la possibilità di una vera democrazia. Ci siamo incontrati per lottare per un pianeta giusto, dignitoso e abitabile, per una casa per le generazioni future e per le comunità attuali. Il nostro io collettivo nasce dagli incontri e dalle relazioni che ci rendono ciò che siamo: un ecosistema che si sta organizzando e sollevando oggi. 

II. Cosa vediamo, sentiamo e conosciamo

Vediamo e sentiamo una Terra ferita e malata. Uno status quo che non è - e non è mai stato - sostenibile. Una catastrofe civile e una civiltà catastrofica che minacciano la vita stessa, la sua memoria, il suo presente e la sua possibilità di riproduzione futura. 

Vediamo e percepiamo quello che i rapporti scientifici e i comitati di ricerca ci hanno insegnato a chiamare "cambiamento climatico", e che la gente in molti dei nostri villaggi ha già chiamato diversamente, in altre lingue, in passato. Lo vediamo e lo sentiamo nel calore dei nostri mari e nell'innalzamento delle maree, nelle foreste che bruciano, nei pozzi che si prosciugano, negli uragani che si moltiplicano e si intensificano, nel sole cocente di mezzogiorno, ogni estate più calda della precedente, nei raccolti sempre più scarsi e imprevedibili. Lo vediamo e lo sentiamo nelle migliaia di morti per inondazioni e siccità. Lo vediamo e lo sentiamo nei corpi persi sotto zattere e navi, travolti dalle correnti migratorie dell'esilio, per la sola colpa di aver cercato rifugio in altri orizzonti. Sappiamo che ciò che vediamo e sentiamo non è uguale dappertutto. E anche se il caos è planetario, c'è chi lo sente nelle proprie case, nella propria pancia e sulla propria pelle, e chi lo legge in qualche reportage.

Sappiamo anche che le cause non sono né casuali né nascoste. E che le responsabilità sono altrettanto asimmetriche quanto i suoi mali: chi ne è più colpito non è chi ne è più responsabile. Inoltre, per alcuni di noi, il progressivo degrado delle nostre condizioni di vita non è un fenomeno recente, né tanto meno un presagio di un futuro più o meno prossimo. Ma fa parte della lunga storia dei nostri popoli colonizzati. Una lunga storia di depredazione ed espropriazione, in cui l'accumulo e la concentrazione della ricchezza in poche mani sono stati costruiti attraverso paesaggi desertificati, terre rubate e culture sterminate. Sappiamo che l'insieme di pratiche, istituzioni e infrastrutture che oggi perpetuano questa stessa storia attraverso gerarchie razziste, antropocentriche e di genere prende il nome di capitalismo. E per soddisfare i suoi bisogni di crescita indefinita, il capitalismo dipende da una continua ricerca, sfruttamento ed estrazione di risorse - e in particolare di un tipo di risorsa: lo spettro delle energie fossili. Le industrie del petrolio, del gas e del carbone non sono solo le fonti di gran lunga più significative delle emissioni di carbonio che stanno riscaldando il pianeta, ma anche il principale alimentatore di quegli stessi modi di produzione, accumulazione e consumo che attualmente corrompono le democrazie e generano guerre in nome del progresso. 

Vediamo e sentiamo che l'estrattivismo fossile si sta espandendo ovunque con gli stessi schemi operativi. Sono le stesse compagnie, gli stessi gruppi aziendali con filiali locali rinominate ad hoc, le stesse banche e gli stessi investitori, a prendere il sopravvento in tutto il pianeta. 

In primo luogo, depredando i paesaggi e distruggendo gli ecosistemi: nelle montagne centrali della Sierra Madre Orientale, stanno cercando di deviare i letti dei fiumi, lasciando migliaia di piante, animali e persone senza fonti d'acqua, per alimentare parchi industriali e pozzi di petrolio. Negli arcipelaghi del Pacifico, la costruzione di decine di terminali di gas naturale liquefatto minaccia le barriere coralline e la vita marina. Sulle coste dell'America Latina, centinaia di fuoriuscite di petrolio si lasciano dietro pesci morti a galleggiare nelle acque. Lo vediamo e lo sentiamo nel silenzio lasciato dagli uccelli estinti e nel deserto delle radure desolate. Dove una volta c'era una foresta ora c'è un gasdotto. Dove dalla terra e dall'acqua inquinate dal fracking ora non cresce altro che disperazione.

In secondo luogo, le vediamo e le sentiamo nella distruzione delle comunità, delle loro economie, dei loro territori, delle loro lingue e delle loro conoscenze. La distruzione degli ecosistemi vuol dire anche la distruzione dei mezzi di sussistenza delle comunità locali. A Vaca Muerta, in Argentina, le famiglie Mapuche sono state sfollate e le mele e le pere che la popolazione coltivava non crescono più perché i terreni sono diventati irrecuperabili a causa delle attività petrolifere. Allo stesso modo, nella foresta amazzonica, aziende come la Perenco stanno utilizzando tutti i mezzi possibili per sfruttare gli idrocarburi presenti nelle riserve naturali e nei territori delle comunità indigene incontaminate o in isolamento volontario, mettendo a rischio la loro esistenza fisica e culturale. In Uganda, in India o in Colombia, l'industria fossile si è impadronita delle terre con la menzogna e l'uso della forza. In Senegal, nelle Filippine o in Perù, le mangrovie vengono distrutte e l'accesso al mare per i pescatori tradizionali viene limitato per costruire piattaforme petrolifere e porti di esportazione. Nei territori delle Prime Nazioni di quelli che oggi si chiamano Stati Uniti o Canada, le compagnie distruggono i luoghi sacri e intimidiscono le comunità con armi, multe e processi. Parliamo di comunità divise, diritti violati e terre sottratte. Di lingue e tradizioni che scompaiono. Di autorità tradizionali ignorate, disprezzate, soppiantate. 

In terzo luogo, lo vediamo e lo sentiamo nel nostro corpo. Nei disturbi e nelle malattie che spuntano vicino ai siti di fracking. Nella leucemia di cui sono portatori i figli dei nostri amici e familiari e nelle malattie polmonari dei lavoratori delle miniere di carbone. Nei denti spaccati e negli arti persi sulle piattaforme di trivellazione. 

Quarto, nella corruzione e nella collusione delle autorità statali e degli organismi internazionali. Ai livelli più alti, i contratti che consentono lo sfruttamento, i cambiamenti nell'uso del territorio, l'approvazione degli studi sull’impatto ambientale e sociale o la definizione della tassonomia e del quadro normativo per la sostenibilità sono stati costruiti sulla base di tangenti e lobby da parte delle imprese transnazionali, con l’approvazione di leggi e regolamenti a favore degli interessi del grande capitale fossile. Politici, parlamentari e agenti tecnici firmano concessioni succulente e producono rapporti a pagamento per giustificare e consentire l'espansione industriale, permettendo alle imprese senza frontiera o bandiera di continuare a operare impunemente. 

Quinto, nella persecuzione e nell'omicidio di coloro che si organizzano per protestare. Dal Sudafrica al Messico alla Colombia, gli attivisti sociali e i difensori della natura devono affrontare sistematicamente vessazioni, privazioni della libertà e spesso attentati alla vita o a quella delle loro e nostre famiglie. Sappiamo cosa sono le intimidazioni. Alcuni di noi hanno dovuto abbandonare le proprie case per sfuggire alle minacce di morte. Altri hanno trascorso ingiustamente più di un anno in prigione. Alcuni di noi sanno anche cosa significa sopravvivere a un tentato omicidio. Abbiamo pianto più di un collega, amico, conoscente o parente assassinato semplicemente per aver parlato, per aver osato difendere ciò che gli stava a cuore.

Sesto, nella precarietà delle classi lavoratrici e nell'aumento delle disuguaglianze. La povertà energetica è già una realtà palpabile, anche nei Paesi europei. Con le bombe che rimbombano in Ucraina, la speculazione e l'aumento dell'inflazione, stiamo vivendo un aumento significativo dei prezzi dell'energia, che colpisce coloro che fanno più fatica a pagare le bollette. Le compagnie energetiche, tuttavia, hanno realizzato profitti record, giocando d'azzardo e lucrando sui bisogni della gente.

Sappiamo che tutte queste cose che vediamo e viviamo sono sostenute e finanziate da una serie di istituzioni e meccanismi finanziari che traggono enormi benefici dall'estrazione di combustibili fossili. Rating di credito e tassi di interesse, politiche economiche nazionali, trattati di libero scambio e di investimento, condizioni commerciali asimmetriche che generano debito illegittimo e spingono i Paesi del Sud del mondo ad accettare politiche estrattiviste, imposte con la corruzione e la violenza: tutte queste strutture del capitalismo neoliberista sono progettate per accumulare capitale nelle mani di pochi, alimentando una spirale di disuguaglianza e crescita infinita. I suoi meccanismi di funzionamento dipendono da un oligopolio privato che controlla il credito, dal finanziamento delle banche e delle compagnie di assicurazione, dalla complicità dei governi nazionali e delle istituzioni internazionali e da una concezione del rischio che tiene conto solo dei benefici economici privati a breve termine e non dei rischi per la vita delle persone e della Terra. 

Infine, sappiamo che quella che alcuni chiamano "transizione ordinata" non è tanto una transizione quanto piuttosto la riproduzione dell'ordine esistente. Ovvero, che storicamente non c'è mai stata una transizione energetica, ma piuttosto un'accumulazione di attività estrattive e di risorse sfruttate che non si sostituiscono, ma si sommano le une alle altre: prima il carbone, poi il petrolio, e ora l'energia eolica e solare sono state portate sul mercato senza mai sostituirsi l'una all'altra, promosse da modelli simili di violenza, speculazione, accumulazione di capitale e consumo. Sappiamo che sono le stesse multinazionali dell'industria fossile che ora cercano di ripulire la loro immagine finanziando parchi eolici, anche quando poi aprono pozzi di fracking ed espandono i loro oleodotti altrove. Sappiamo che gli investimenti per la transizione stanno sviluppando nuove attività estrattive con modalità operative altrettanto pericolose e aggressive: da Casamance e Covas de Barroso al Medio Magdalena, le comunità e gli ecosistemi si devono confrontare con le miniere di metalli rari, la rifunzionalizzazione delle infrastrutture per lo sfruttamento dell'idrogeno e l'espropriazione portata dai mega parchi industriali. Sappiamo che le misure di mitigazione basate sul mercato, come i crediti di carbonio, non fanno che aumentare la privatizzazione dei beni comuni e la mercificazione della natura. Sappiamo che la vera discussione è sulla proprietà dei crediti e che la vera transizione sarà quella ecologica ed economica, plurale, comunitaria e giusta. 

Perché noi sappiamo che ci potrebbe essere un’alternativa a tutto ciò che vediamo e sentiamo. Solo qualche decennio fa la finanza era almeno in gran parte pubblica, c'erano meccanismi di controllo e limiti ai flussi di capitale, sovranità sulla politica monetaria e sulla destinazione degli investimenti. Oggi i controlli esistono solo sulle nostre vite, nella militarizzazione e nell'amministrazione dei nostri territori, e le norme sono inquadrate solo in termini di stabilità finanziaria, cioè di mantenimento della stabilità dell'accumulazione e della concentrazione del capitale transnazionale. Gli Stati, da parte loro, sono cooptati o soggiogati attraverso trattati e regolamenti che impongono aggiustamenti strutturali e condizionano la possibilità di progettare altri tipi di politiche pubbliche. Le istituzioni internazionali e i forum intergovernativi al vertice della piramide del capitalismo transnazionale si nascondono dietro tecnicismi e comitati di esperti per mantenere la volontà politica di continuare a riprodurre questo sistema neocoloniale. Sappiamo che queste istituzioni devono essere denunciate, messe sotto pressione, monitorate, reinventate, smantellate e che il cambiamento può venire solo dall'organizzazione dei nostri movimenti. Sappiamo che non siamo soli. Sappiamo che, per rimanere ciò che siamo, dobbiamo incontrarci e conoscerci. 

© Daniel Buergin

III. Cosa vogliamo, per cosa lottiamo

Durante il Forum dei Popoli si sono incontrate organizzazioni, conoscenze ed esperienze provenienti da parti del pianeta lontane tra loro. Strateghi finanziari belgi si sono confrontati con la saggezza ancestrale delle Prime Nazioni, esperti di rischio olandesi e leader di comunità sudafricane si sono seduti allo stesso tavolo. Mentre si relazionavano idee provenienti da visioni e patrimoni diversi, abbiamo progettato strategie per il recupero del credito come bene comune, l'autodeterminazione dei popoli e la democratizzazione e decolonizzazione delle nostre società. Ciò comporta la resistenza e la riscrittura delle regole delle attuali istituzioni finanziarie e la costruzione di alternative al capitalismo transnazionale. 

Sappiamo che la configurazione strutturale delle infrastrutture e delle istituzioni capitalistiche favorisce il caos climatico attraverso modelli di sfruttamento neocoloniali. Siamo consapevoli del peso che queste strutture di potere hanno nel plasmare le nostre società e i nostri paesaggi. Tuttavia, questo non significa che le istituzioni e le infrastrutture così come sono oggi debbano rimanere le stesse domani. I cambiamenti vengono portati avanti da movimenti dal basso, articolando alleanze impensabili come quelle che stiamo tessendo qui. Nei paragrafi che seguono abbiamo raccolto le nostre richieste comuni relative alle istituzioni finanziarie, ai governi del Nord e del Sud del mondo, nonché i nostri appelli a tutti gli altri collettivi e alle ONG che si battono per una realtà finanziaria più giusta e decoloniale, in grado di affrontare adeguatamente le conseguenze della violenza che questa ha inflitto e continua a infliggere al pianeta, ai suoi ecosistemi e alle sue persone. Affrontare il sistema finanziario deve quindi essere inteso come un passo all'interno di un viaggio più lungo e più ampio verso altri mondi possibili.

Principi autenticamente democratici e decoloniali ispirano la nostra ambizione: il sistema finanziario deve nascere e servire la volontà delle comunità locali e degli ecosistemi, deve lavorare per la costruzione di una società deliberativa che garantisca l'agency e l'inclusione. Per cominciare, dobbiamo rifondare il credito, in modo che non sia più nelle mani delle macchine del profitto. Il credito non è altro che il permesso di impiegare parte delle forze produttive della società. Con il monopolio sulla creazione del credito, i banchieri hanno usurpato il controllo su questo bene comune fondamentale che determina le direzioni in cui si muove la società. Il credito di oggi è strutturalmente progettato per servire interessi privati. Le sue finalità devono essere cambiate. Vogliamo un credito cooperativo al servizio delle comunità. Un credito pensato per riparare le conseguenze feroci dell'estrattivismo. Invece di una promessa di pagamento al servizio dell'accumulazione, il credito deve diventare l'impegno collettivo per la rigenerazione sociale ed ecologica, una promessa di ricompensa per tutti.

Inoltre, chiediamo alle istituzioni finanziarie e a tutti i vertici associati di rispettare l'autodeterminazione dei popoli autoctoni, così come di tutte le altre comunità, rurali e non, che non sono disposte a rinunciare al loro modo di organizzare il territorio e le sue risorse in nome del profitto. I trattati e le convenzioni internazionali tutelano il diritto all'autodeterminazione dei popoli: la Convenzione 169 e la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni devono essere rispettate dalle imprese in loco e dai loro enti finanziatori. Siamo determinati a condannare tutti i dirigenti, i consulenti e gli imprenditori responsabili delle innumerevoli violazioni inflitte a miriadi di territori inquinati, violentati e devastati.

Siamo determinati a smantellare i sistemi di corruzione, disintegrazione e intimidazione che sono stati imposti alle comunità i cui terreni e mari sono stati sfruttati, lasciando loro solo la scelta disperata di accettare l'impianto di un’infrastruttura "moderna" letale. Siamo qui anche per recuperare le competenze tecnico-economiche e il capitale che il sistema finanziario ha accumulato come compenso minimo per il debito che hanno nei nostri confronti per aver annientato i nostri mezzi di sussistenza. Apriremo un'alternativa di vita che ci garantisca la sussistenza senza dover emigrare, senza dover aumentare la partecipazione al lavoro sfruttato e senza riempire le fila armate del crimine organizzato. Esigiamo una compensazione tecnica finanziaria e una ridistribuzione sistematica per tutte le comunità che sono impegnate nella difesa della loro terra contro l'espansione dell'industria dei combustibili fossili; a tutte le comunità che stanno facendo i conti con ciò che hanno lasciato loro: terre sterili, fiumi inquinati, capretti del petrolio, stupri nei campi di uomini, ecosistemi marini distrutti, aumento delle leucemie e di varie malattie. Alle banche, ai vertici finanziari e ai comitati finanziari non sarà consentito affermare di lavorare per la costruzione di un futuro verde e sostenibile senza compiere alcun passo concreto in questa direzione. Siamo qui per decostruire i loro discorsi e denunciarli pubblicamente per la distruzione occultata che si cela dietro il loro greenwashing. 

Le istituzioni finanziarie devono essere ritenute responsabili

Gli organismi internazionali e chi stabilisce le regole- come il Financial Stability Board (FSB), il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria (BCBS), l'Associazione internazionale dei supervisori assicurativi (IAIS), nonché i regolatori finanziari, i supervisori e i banchieri centrali nazionali - devono essere obbligati a riconoscere il primato dei diritti umani e ambientali su qualsiasi accordo commerciale o di investimento. Per questo, i ministri delle Finanze del G7 e del G20 devono concordare sul fatto che una definizione radicalmente diversa di rischio è una componente fondamentale della riforma finanziaria sistemica per la sicurezza ambientale e climatica. I Ministri delle Finanze del G7 e del G20 devono chiarire i mandati degli organismi internazionali, dei regolatori e delle autorità di vigilanza per assicurarsi che questi considerino esplicitamente il cambiamento climatico, il degrado ambientale e sociale come le principali minacce per l'umanità e per lo stesso sistema finanziario. La nostra vita non è negoziabile. 

Gli attori finanziari devono smettere di nascondersi dietro a complessità e calcoli, devono smettere di usare i loro studi sull’impatto come copertura per ignorare gli impatti ambientali e sociali delle loro azioni. Le imprese che operano sul campo sono corresponsabili di ogni difensore dell'ambiente assassinato, di ogni pescatore che soffre la fame e di ogni costa che diventa nera. Le imprese e le istituzioni di investimento devono essere ritenute responsabili del monitoraggio, del controllo e della verifica dei progetti non solo per evitare l'instabilità economica, ma anche per garantire la sostenibilità socio-ambientale. La responsabilità civile, penale e amministrativa deve essere condivisa lungo le catene di produzione globali: tutte le parti coinvolte in un progetto, compresi gli investitori e le agenzie di valutazione del rischio, devono rispondere di parti o della totalità del progetto che hanno sponsorizzato o pagato. La distanza tra la fonte del capitale e il suo impatto su un territorio lontano dalla vista non deve più essere un lasciapassare per l’impunità.

Il principio di precauzione richiede un approccio lungimirante rispetto alla pianificazione finanziaria e alla regolamentazione, e richiede di prendere in considerazione gli effetti a lungo termine del cambiamento climatico e della perdita di biodiversità che le attività estrattive hanno sugli ecosistemi. Un principio di precauzione decoloniale richiede di bilanciare la necessità di coerenza globale con il riconoscimento che alcuni territori storicamente colonizzati e sottomessi e alcune comunità svantaggiate nei Paesi ricchi potrebbero aver bisogno di più tempo e sostegno per realizzare queste riforme.

© Daniel Buergin

Devono essere imposte misure adeguate 

Sulla base di questi due principi di corresponsabilità e precauzione, per rispondere a tutte le seguenti richieste devono essere imposte delle misure adeguate:

In primo luogo, chiediamo il riconoscimento critico dei diritti fondamentali delle comunità indigene e tradizionali, nonché il rispetto dei loro modi di vita e dei loro sistemi di conoscenza. Tra l'altro, le istituzioni finanziarie devono rispettare il diritto di queste ultime al consenso libero, preventivo e informato (FPIC) e alla consultazione preventiva vincolante in relazione a progetti che potrebbero influire sui loro territori o modi di vita. Particolare attenzione va data anche al Diritto Di Dire No, che rafforza in generale il diritto centrale delle comunità, indigene e non, di rifiutare le proposte se i risultati dei negoziati sono insoddisfacenti. Questo concetto determinante amplifica le voci delle comunità e richiede alle imprese di valorizzare la saggezza indigena e il diritto consuetudinario. Il Diritto Di Dire No viene quindi concepito come uno strumento a favore dell'autodeterminazione e dell'autogoverno, che consente alle comunità di plasmare il proprio modello di crescita attraverso metodi e leggi locali. 

In secondo luogo, chiediamo di tagliare subito il sostegno finanziario ai combustibili fossili. Per il bene dell'umanità, della natura, del clima e della stabilità finanziaria, è necessario che i regolatori finanziari e le banche centrali allontanino l'intero settore finanziario dalla distruttiva e rischiosa industria dei combustibili fossili. È una responsabilità nei confronti delle generazioni passate, presenti e future. Più concretamente, chiediamo le seguenti riforme finanziarie concrete, che rappresentano i primi passi realizzabili nella direzione necessaria: 

  1. Applicazione della regola prudenziale "uno per uno" per qualsiasi finanziamento all'industria fossile. Vale a dire, un quadro normativo che richieda alle banche e alle compagnie di assicurazione di sostenere con risorse proprie (capitale) il 100% di qualsiasi finanziamento che erogano a società e progetti legati ai combustibili fossili, dato il rischio inaccettabile che ne deriva (che comporta la deforestazione o la degradazione dell'ecosistema). Applicazione di un buffer (copertura) dedicato al rischio sistemico per riflettere la dimensione sistemica del cambiamento climatico, che interesserà le imprese e le istituzioni finanziarie in tutte le economie e aree geografiche.
  2. Revisione della soglia delle grandi esposizioni e dei fattori di ponderazione del rischio di credito per le posizioni soggette a elevati rischi di transizione al di fuori del settore dei combustibili fossili.
  3. Considerazione dei rischi per la biodiversità nei regolamenti esistenti relativi alle istituzioni finanziarie. 

L'FSB dovrebbe considerare i cambiamenti climatici, il degrado ambientale e la perdita di biodiversità in una prospettiva più ampia di stabilità finanziaria, al di là dei settori bancario e assicurativo. Il principio della doppia rilevanza dovrebbe essere al centro di tali considerazioni: da un lato, le istituzioni finanziarie affrontano rischi finanziari dovuti alla loro dipendenza dal clima e dalla natura; dall'altro, facilitano attività distruttive per il clima e la natura, che aumentano i rischi per il pianeta e per le istituzioni stesse. Gli standard internazionali - BCBS e IAIS - dovrebbero rivedere i loro regolamenti e attuare le misure necessarie, come indicato sopra. 

  1. L'FSB, il BCBS e lo IAIS devono essere chiamati a rispettare una tempistica accelerata sui risultati attesi e annunciare le tabelle di marcia per questa nuova agenda.

In terzo luogo, dobbiamo imporre che i diritti umani e ambientali prevalgano sui profitti aziendali. Le aziende e le istituzioni finanziarie devono essere regolamentate a livello nazionale e internazionale in base alle leggi sui diritti umani e sull'ambiente, e devono essere ritenute legalmente responsabili per qualsiasi violazione della salute, della vita, dell'acqua e dell'autodeterminazione delle persone - diritti umani fondamentali che sono sistematicamente minacciati dalle industrie estrattive. Ciò significa che non deve essere consentito alcun sostegno finanziario ad attività che portano alla deforestazione e alla distruzione di ecosistemi a rischio come mari, zone umide, foreste pluviali e criosfera. I progetti non possono e non devono distruggere o interrompere i cicli naturali di rigenerazione degli ecosistemi, annientando così la loro resilienza e capacità di dare la vita. 

In quarto luogo, chiediamo a tutte le principali istituzioni finanziarie di decolonizzare la finanza globale. La loro funzione deve essere radicalmente trasformata per rispondere alle esigenze del Sud globale e delle generazioni future. Le attuali trappole del debito associate allo sviluppo e ai soccorsi in caso di calamità, gli ingiusti sistemi di rating del credito, il controllo del Nord globale sul voto e sull'allocazione delle riserve del Fondo Monetario Internazionale (FMI), le misure di aggiustamento strutturale e di austerità, tra le altre politiche, sostengono tutte pratiche coloniali. È essenziale promuovere un'equa rappresentanza delle nazioni del Sud globale e delle loro banche centrali negli spazi decisionali finanziari e nella definizione degli standard globali. 

Quinto, il Sud globale "deve" trilioni di dollari di debito e, allo stesso tempo, possiede trilioni di dollari di combustibili fossili che è costretto a estrarre per pagare. Questo debito è stato contratto dalla dittatura e dalla corruzione delle imprese transnazionali, imposte dall'agenda neocoloniale del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale e del G7. Il debito è quindi illegittimo e deve essere cancellato perché impedisce ai Paesi di sviluppare politiche pubbliche che vadano a beneficio dei loro popoli: cancellare il debito del Sud globale significa garantire loro lo spazio politico ed economico per sviluppare politiche di tutela dei diversi modi di vita incentrati sulla conservazione della vita, delle comunità e degli ecosistemi. Cancellare questo debito significa creare la possibilità di una transizione energetica giusta e autodeterminata, recuperando la capacità di investire invece che subire gli impatti di investimenti imposti loro provenienti da altrove.

Tutte le forze di opposizione devono insorgere contro il capitalismo transnazionale, il sistema finanziario deve essere costretto a cambiare. 

Le nostre richieste politico-finanziarie sono ambiziose, scritte con la specifica intenzione di mettere in discussione le radici del sistema che controlla il 90% del capitale disponibile nel mondo. Inizieremo subito a lavorare alla loro concretizzazione. Dichiariamo quindi il nostro impegno a rafforzare i processi di resistenza delle alternative locali, autonome e comunitarie che lottano contro il capitalismo verde e per la creazione di economie di sussistenza e autosufficienti. Invitiamo tutte le organizzazioni, tutti i collettivi e tutti gli individui che hanno i mezzi per farlo a cogliere l'occasione ora. Tutte le campagne internazionali e intersezionali esistenti che lottano contro l'impunità delle imprese, il debito climatico, l'espropriazione della terra e del territorio, la povertà energetica e il finanziamento dei progetti estrattivisti dovrebbero tessere la loro rete e sollevarsi insieme. Denunciamo inoltre pubblicamente la persecuzione sistematica di attivisti e difensori della natura in tutto il mondo e chiediamo la creazione di meccanismi di protezione e di reti di sostegno e solidarietà che garantiscano la loro sicurezza. 

Chiediamo a tutte le forze di opposizione e agli individui impegnati di confrontarsi con le istituzioni che governano il capitalismo transnazionale e di lottare per una trasformazione radicale dei nostri sistemi economici e finanziari. Invitiamo ad azioni e mobilitazioni in tutto il mondo per fare pressione sulle autorità di regolamentazione, sugli organismi di normazione, sulle banche centrali, sulle agenzie di rating e su altri attori finanziari affinché nel definire le loro politiche e nel valutare la rischiosità delle imprese tengano conto del rischio climatico e sociale a lungo termine.

Lottiamo per le cose più semplici: un pianeta vivibile e comune. Un mondo in cui la vita e le differenze siano apprezzate, anziché standardizzate e vendute. Un tempo che riconosca il passato doloroso e affronti il presente incerto per permettere a futuri molteplici di fiorire. Lottiamo per modi di vivere post-estrattivisti, in cui il potere e il credito risiedano nelle nostre comunità e non negli interessi privati e nelle corporazioni. Lottiamo per l'autodeterminazione dei nostri popoli e per la democratizzazione delle nostre società. Lottiamo per modi di relazionarsi che non siano capitalisti o coloniali. Lottiamo per reclamare il credito e porre fine alla finanza fossile.